BREVI BIOGRAFIE DEI CONFRATELLI SALESIANI CHIAMATI DA DIO ALLA VITA ETERNA

 

 

TORINO, 1876.

TIPOGRAFIA E LIBRERIA SALESIANA

SAR PIER D' ARENA - NIZZA MARITTIMA

Ospizio di S. Viro. de' Paoli.|    Patronato di San Pietro. {1 [167]} {2 [168]}

 

 

[è premesso alle opere ristampate solo parzialmente; è premesso agli scritti attribuiti o attribuibili a Don Bosco]

 

 

 

 

INDEX

 

Prefazione  2

Confratelli salesiani chiamati alla vita eterna nell'anno 1874. 2

Il sac. Provera Francesco. 2

Il sac. Cagliero Giuseppe. 4

Il chier. Ghione Luigi. 5

I1 sac. Pestarino Domenico. 6

Confratelli salesiani chiamati alla vita eterna nell' anno 1875  8

Il giovane Giacomo Para. 8

Antonio Lanteri. 12

Barberia Defendente. 13

 


Prefazione

 

            Dacché si cominciò a stampare per uso della nostra Salesiana Congregazione le biografie di quelli che fra noi vengono chiamati alla vita eterna, molte persone ecclesiastiche e secolari estranee alla Congregazione stessa mostrarono desiderio che fossero rese di pubblica ragione, persuase che ne possa ridondare gloria a Dio e vantaggio ai prossimi. Assecondando le istanze fatte a tale uopo, si prese la deliberazione di farne raccolta e di pubblicarle a consolazione dei parenti ed amici e a pascolo spirituale di altri pii lettori.

            Sebbene non siano vite di Santi riconosciuti come tali dalla Chiesa, tuttavia si troveranno tratti particolari della bontà che Dio esercita verso gli uomini anche ai {3 [169]} tempi nostri si scorgerà l'esercizio delle virtù cristiane nella vita di famiglia, i mezzi di preservarsi dalla corruzione del secolo, e le vie per cui il Signore chiama le anime a consacrarsi a Lui; mentre per altra parte si potrà pur rilevare quali grazie e benedizioni voglia il Signore largire a chi corrispondendo alle sue chiamate consacrasi coraggiosamente al suo servizio.

            Faccia Iddio che l’ effetto corrisponda all'intenzione che cioè dalla lettura di queste’ biografie abbia a risultare realmente la sua gloria ed il bene delle anime.

            Sac. GIOVANNI Bosco. {4 [170]}

 

 

Confratelli salesiani chiamati alla vita eterna nell'anno 1874.

 

Il sac. Provera Francesco.

 

            Il sac. Provera Francesco, figlio del fu Giovanni Battista e della vivente Aurelia Ricaldone, nacque in Mirabello paese assai popolato del Monferrato, il 4 dicembre 1836. La sua prima educazione fu quale poteva aspettarsi da genitori veramente cristiani dati alle opere di carità.

            Uscito dall'adolescenza non cercò d'abbracciar altra carriera eccetto quella del padre suo, il quale, mentre aveva cura de' suoi possedimenti, teneva negozio da pizzicagnolo.

            Secondo le viste umane pareva che Francesco dovesse passare tranquillamente la vita in seno alla cara sua famiglia, che in lui ravvisava un modello di virtù ed un abilissimo commerciante; ma diversi erano i disegni di Dio a suo riguardo. All'età di 22 anni si deliberò di secondare un'ispirazione che certamente veniva dal cielo e che lo invitava a lasciare il mondo, che egli ben già conosceva pieno di pericoli per chi vuole davvero pensare all'eterna salvezza. Nello stato ecclesiastico, egli diceva, potrò fare del bene a me ed agli altri. Ma per riuscire a qualche cosa ho bisogno di studio e di ritiratezza. Fece palesi, tali {5 [171]} Pensieri ai suoi pii genitori e fratelli, i quali, sebben dolenti di vederlo andar lontano, tuttavia non contrastarono la sua vocazione.

            Aveva qualche idea in confuso dell'Oratorio di s. Francesco di Sales e di D. Bosco, che ne era Direttore, e colà si rivolse per essere ricevuto. Saputasi tale cosa da' suoi amici, vi fu chi gli disse: che cosa vuoi fare con D. Bosco? Quel sito non fa per te; colà non si parla che di Madonna, di Pater noster e di Paradiso! Se è così, rispose Francesco, quello è proprio un luogo che fa per me: Maria, preghiera, Paradiso, è quello che desidero.

            Entrava nell'Oratorio di s. Francesco di Sales ai 14 di ottobre 1858.

            Applicatosi allo studio si conobbe in lui tale sveltezza d'ingegno, che i suoi maestri ed egli stesso non avrebbero imaginato. Nello spazio di un anno potè lodevolmente compiere le classi elementari, l'intero corso classico o ginnasiale, subire l'esame per la promozione alla filosofia e della vestizione clericale nel Seminario Arcivescovile di Torino.

            Durante questo primo anno di sua residenza nell'Oratorio ebbe agio a conoscere lo spirito della Congregazione di s. Francesco di Sales, che in quel tempo cominciava a prendere forma regolare. Trovandola conforme a' suoi desideri, non tardò ad aggregarsi in modo stabile. Fece da prima i voti triennali e poco dopo emise i voti perpetui. Il darmi a Dio per metà, diceva, non mi conviene: dunque rompiamola col mondo, diamoci al vero padrone; diamoci tutto. e per sempre a lui.

            La sua straordinaria attitudine allo studio lasciandogli molto tempo da impiegare in altre cose, {6 [172]} nel secondo anno di filosofia gli venne affidato l'insegnamento del 1° corso ginnasiale nell' Oratorio, e per due anni istruì con gran profitto ben 180 giovanetti. Cominciava il terzo anno d' insegnamento quando lo assalì un malore in un piede che rendendosi ostinato a tutte lé cure dell' arte lo travagliò in tutta la vita.

            Nel 1863 per sua iniziativa veniva aperto il piccolo seminario di s. Carlo a Mirabello, e si giudicò non aversi altro migliore di lui per cuoprire la carica di Prefetto ossia economo. Qui diede prova della rara abilità, ed esperienza in ogni ramo di amministrazione domestica. Continuò in quell'uffizio in Mirabello fino all'autunno del 1864, quando venne trasferito a disimpegnare lo stesso Uffizio nel collegio di Lanzo, che apertosi in quest'anno richiedeva un economo di non ordinaria capacità. Mentre trovavasi in quel collegio, egli arrivò alla meta de' suoi desideri, venendo ordinato sacerdote. Non è a dire come quest'insigne favore della divina bontà l'abbia confermato nel proposito di consecrare tutta la sua vita al servizio di Dio e al vantaggio del prossimo, anzi parve che la celebrazione quotidiana della e. Messa abbia infuso nel suo cuore novella forza per sopportare con più edificante rassegnazione il suo male, che appunto allora incrudiva terribilmente.

            Avviato che fu il collegio di Lanzo, egli fu nuovamente inviato nel Piccolo Seminario di Mirabello. Ma nell'agosto del 1869 aprendosi un collegio a Chetasco vi fu pure inviato nella sua qualità di prefetto, e dopo un anno fu traslocato nell'Oratorio di s. Francesco di Sales, dove la moltiplicità degli affari ognor crescenti richiedeva un e {7 [173]} aperto ed attivo aiutante a coloro che già vi si trovavano. Anche qui vennegli affidata la carica di Prefetto. Solo chi ha provato può conoscere a quante e quali svariate cose bisogna aver occhio in questo impiego, che si può dire il centro da cui parte e a cui va a riferirsi l’ intera amministrazione materiale e morale di tutta la casa. D. Provera con tutta calma, fermo di non voler perdere un bricciolo di tempo, e di consacrare ogni momento alla maggior gloria di Dio, tutto vedeva, tutto osservava senza mai nulla dimenticare.

            Oltre al disimpegno del suo uffizio trovava tempo a prepararsi le sue filosofiche lezioni, il che fece per due anni con grande soddisfazione de' suoi allievi. Il Signore l’ aveva dotato di tenace memoria, di facilità di parola e di una chiarezza di idee tutta eccezionale, pel che riusciva anche facilmente nella predicazione. In questa parte del sacro ministero trovava molto gusto é produceva gran frutto. Sebbene male in salute quando gli si proponeva di predicaree era sempre per lui un piacere grande. Più volte espresse il desiderio di potersi recare nei paesi a dettar esercizi spirituali, dare missioni, e pativa nel veder altri suoi confratelli gettarsi in campo, ed egli trattenuto sempre dal suo male non poterli seguire. Dio mi vuole umiliato, disse più volte. Ma giacchè non posso fare come fanno i miei compagni, pregherò Dio per loro, affinchè faccia riportare copiosi frutti dalle loro evangeliche fatiche.

            Cominciava il 1874 quando l'ulcere al piede, che da ben dodici anni lo andava consumando prese ad esacerbarsi a segno che non tardarono ad apparire i sintomi minacciosi per la sua esistenza. {8 [174]} Le forze sempre più decrescevano, e i dolori più acuti non gli davano più requie nè giorno ne notte, e tuttavia non si udì mai prorompere in un lamento. Un giorno fu veduto cogli occhi lagrimanti, e a chi gliene chiese la cagione, rispose con rara tranquillità: il male che soffro è tale che nessuno lo potrebbe descrivere. Ogni cura, ogni consulto di valenti dottori, ogni rimedio fu messo in opera in ogni tempo; ma indarno. Fu consigliato a lasciare ogni lavoro e riposarsi alquanto. No, rispondeva, il lavorare e trattenermi in udienza è l'unico sollievo che io possa avere. Anzi ad un confratello dimostrò il desiderio di morire sul lavoro: per un soldato, diceva, credo che sia vera gloria morire in battaglia. I momenti più belli per lui erano quelli che passava nella preghiera, e fu sempre esattissimo in tutti gli esercizi di pietà. Il Superiore lo consigliava a riposare di più ed a sospendere alcune pratiche religiose. Non mi conviene, perché è breve il tempo che passerò ancora in terra; dunque devo impiegarlo esattamente per le cose eterne del cielo. Finché potè reggersi in piedi, non volle mai ommettere di celebrare la s. Messa. Le ultime volte ne restava talmente sfinito che non aveva più forza da recarsi in camera.

            Era il giorno 30 di Marzo 1874 quando costretto solo dall'obbedienza si mise a letto. Per quanto acuti fossero i dolori che pativa, come fece sempre durante la sua vita, così pure in quest'ultima e breve malattia non venne meno la sua eroica pazienza. Con quella fede e rassegnazione che è propria di chi patisce per amore di Dio ricevette i conforti di nostra santa Religione {9 [175]} con edificazione di tutti gli astanti, e spirava la bell'anima sua ai 13 di Aprile 1874. Aveva 38 anni di età e circa 14 di professione religiosa. Chi lo assisteva negli ultimi istanti disse che D. Provera non morì, ma si addormentò nel bacio del Signore, che aveva tanto amato e così fedelmente servito.

            La vita di questo nostro amico e confratello è un vero modello di distacco dalle cose della terra, di pazienza, di zelo per la gloria di Dio. Ed affinchè le sue azioni siano meglio conosciute verranno fra non molto pubblicate in apposita biografia.

 

 

Il sac. Cagliero Giuseppe.

 

            Il sac. Cagliero Giuseppe nacque in Castelnuovo d'Asti il 30 Marzo 1847 da Giacomo Cagliero e da Febbraro'Catterina. Fin da giovanetto amava tanto la ritiratezza, che faceva presagire come egli non fosse fatto pel mondo. I parenti volendo secondare le buone inclinazioni -del figlio decisero di destinarlo agli studi. Il giovanetto dimandò di essere messo nell'Oratorio di a. Francesco di Sales, dove erano già parecchi suoi patrioti; giacchè avendo intenzione di abbracciare lo stato ecclesiastico, parevagli più facile poter ciò conseguire in quel collegio.

            In ottobre 1859 diveniva nostro allievo nella tenera età di 11 anni. Nei primi mesi trovava difficili le molte materie che fanno parte del corso classico o ginnasiale, ma incoraggiato ed aiutato {10 [176]} dagli amici e da' maestri vi prese gusto, e mettendo a partito il talento non ordinario, di cui Dio l'aveva fornito, in quell'anno stesso riuscì ad essere promosso fra i primi.

            Terminato lodevolmente il corso ginnasiale appagò il suo desiderio vestendo l’ abito clericale. Il suo ingegno si sviluppò assai nello studio della filosofia e della Teologia, a segno che ne' pubblici esami riportò sempre i voti di egregie oppure optime. Allo studio accoppiava grande amore alla pietà ed all'acquisto delle virtù, e nella umiltà dimostrossi sempre modello. Ad un compagno che lo invitava di venire a Torino per unirsi con altri confratelli a laurearsi in Teologia, rispondeva Voi avete troppo buona opinione di me; non mi stimo capace di tanto, farei topica e sarei causa di disonore per l’ Oratorio: ed era da tutti stimato per uno dei più idonei.

            Avvicinandosi alle ordinazioni, un rispettabile personaggio, forse per mettere alla prova la sua vocazione alla Congregazione Salesiana, gli proponeva grandi vantaggi nel secolo. Vi ringrazio, rispondeva, io non cerco guadagni della terra, ma cerco i guadagni del cielo. É certo che colui, il quale lascia il mondo per amor di Dio, avrà il centuplo nella vita presente, e l’ eterna mercede in futuro. E poi non è meglio lasciar il mondo volontariamente, che lasciarlo poi per forza senza mercede in fine della vita?

            Fatto sacerdote, manifestando molta attitudine al sacro Ministero fu inviato Catechista ossia Direttore spirituale nel collegio-convitto di Cherasco. La stessa carica esercitò poi oltre a due anni nel collegio civico di Varazze. {11 [177]}

            Quivi diede prove non comuni di quel zelo che solo si trova nei buoni ministri del Dio d'amore. Oltre all'istruzione religiosa, che procurava ai convittori ed agli esteri, usciva ancora soventi volte a predicare nei paesi vicini. La sua esposizione semplice, famigliare, intelligibile a tutti, piaceva molto, sicché dovunque si recava a predicare, la-sua parola produceva gran frutto. La popolazione di Cogoleto porse copiosa messe allo zelo del nostro D.. Cagliero, poichè andatovi qualche volta a predicare, presto si guadagnò il cuore de' suoi uditori, in guisa tale che non erano mai stanchi di udirlo, comunque lunghe fossero le sue prediche. Frutto assai copioso raccolse nel 1874 quando predicò la quaresima alla buona popolazione di quel paese.

            Frattanto una morte inaspettata rapiva ai vivi il sacerdote D. Pestarino direttore delle figlie di Maria Ausiliatrice in Mornese; e il nostro D. Cagliero venne scelto per sostituirlo nel giugno del 1874. E bene, di notare che alla testa di tali istituti soglionsi mettere soltanto sacerdoti di età alquanto avanzata, la cui scienza, pietà, moralità ed esperienza lascino niente a temere, anzi facciano tutto sperare. Quindi se i Superiori deliberarono di affidare a D. Giuseppe quel delicato Uffizio è segno che a comune loro giudizio nella giovane sua età egli nutriva maturità di senno, e presentava tal garanzia delle sue azioni da potere star tranquillo di avere scelto guida sicura sia per le religiose, sia per le educande che venivano affidate al suo zelo. Amando egli la quiete e la ritiratezza, nella dimora di Mornese, lontano dai frastuoni mondani, pareo agli di aver trovato il suo Paradiso {12 [178]} in terra. A suo padre, che andò a trovarlo, agli altri di sua famiglia ed amici a cui scriveva non aveva altro a dire se non che era veramente contento della presente sua posizione. Caro D. Giuseppe! tu cominciavi a gustare quella contentezza che invano si cerca in mezzo al mondo, quella pace, che ha il suo compimento solo in- cielo! Eran trascorsi appena due mesi quando si ammalò e subito gravemente: la sua malattia durò oltre un mese sopportata sempre con ammirabile rassegnazione.

            Non ci fu cura di medico, di assistenza, di rimedio che non siasi messa in opera; a segno che egli si lagnava dicendo: se mi usano tanti riguardi, dove andrà la povertà del prete? Suo padre, che-andò a visitarlo, invitavalo di recarsi a casa. In niun luogo, rispondevagli, potrò essere meglio assistito di quel che sono qui. Nemmeno un principe può avere migliore assistenza.

            Quando s' accorse mancargli le forze e perciò avvicinarsi il fine della vita, ricevette colla massima edificazione gli ultimi Sacramenti; poi con volto lieto e sereno e con cuore veramente tranquillo in compagnia di Gesù sacramentato, verso cui ebbe sempre tenera divozione, se ne stava aspettando l'istante del gran passaggio, che non tardò a venire. Egli riposò nel Signore il 4 settembre 1874 nella florida età di soli 27 anni.

            Nel corso della vita era spesso travagliato dal timore di non essere capace a disimpegnare abbastanza bene gli uffizi che gli venivano affidati. Questo pensiero era quello che lo spingeva a tale esattezza ne' suoi doveri, che non rade volte giungeva allo scrupolo. Da questo modello di vita cristiana {13 [179]} e sacerdotale impariamo a coltivare con-alacrità lo stadio, ma facciamo in guisa che questo sia sempre unito alla pietà, condizione indispensabile per chi vuol imparare la vera scienza. Sia poi a tutti di stimolo ad essere zelante del bene delle anime non colla forbita eloquenza, ma colla semplicità apostolica; ed infine poi impariamo a cercar la pace del cuore non in mezzo ai rumori del' mondo, ma nella ritiratezza e nell'adempimento di que'doveri, che la Divina Provvidenza ci mette fra mano.

 

 

Il chier. Ghione Luigi.

 

            Il chierico Ghione Luigi del fu Giacomo e della fu Allanda'Antonia, nacque nel distretto della Parrocchia dei se. Michele e Pietro in Cavallermaggiore il 12 ottobre 1850. Figlio di poveri, ma onesti e pii genitori, fin dai più teneri anni ebbe un amore speciale allo studio ed alla preghiera, che coltivò nel miglior modo compatibile all'umile suo stato. Cogli anni cresceva in lui lo spirito di preghiera e il desiderio di accostarsi spesso ai SS. Sacramenti specialmente alla santa Comunione che riceveva immancabilmente per lo meno ogni domenica, con non comune edificazione degli astanti. Seutivasi viva propensione allo stato religioso, anzi a farsi missionario, disposto, egli diceva, di spendere la vita per portare la fede nelle regioni degli infedeli, e qualora ne fosse stato volere del cielo, anche morir martire di Gesù Cristo. Con tali pensieri domandò d'essere {14 [180]} accolto noli, Oratorio di s. Francesco di False', colla speranza di poter quivi far qualche studio, attendere alla pietà, ed a suo tempo mandar ad effetto i santi suoi disegni. Accolto nell'Oratorio al, 1° di Maggio 1869, diede tosto prove non ordinarie di virtù. Fu costantemente ammirato per la sua prontezza nell'obbedire, per la sua umiltà e per la carità verso a Dio e verso al prossimo. I superiori avendo conosciuto il suo vivo desiderio di far gli studi, vollero appagarlo. Ma prima venne messo a lavorare in refettorio, nel quale ufficio dimostrò esattezza e pazienza, da rendere a tutti manifesto come in ogni cosa egli cercava unicamente la gloria di Dio.

            Nelle ore che gli altri si ricreavano od uscivano a passeggio, egli soleva recarsi a far visita al SS. Sacramento, di poi si occupava a leggere, studiare, o si esercitava nella composizione. A tanta propensione e a sì belle apparenze di riuscita gli si affidò altro uffizio in cui avesse maggiore comodità di applicarsi alla scuola ed allo studio. Gli venne dato il servizio di portinaio, che tenne per due anni. Fu allora che si conobbe il nostro Luigi essere dotato di non ordinario ingegno. In bieve tempo potè completare il corso di lingua italiana, progredire in vani rami scientifici accessori, imparare la lingua latina cogli altri studi richiesti per la vestizione chiericale. Di quanta gioia fosse inondato il suo cuore quando si vide indossata la sospirata divisa chiericale, solo Dio può conoscerlo.

            A questo punto depose il pensiero di farsi missionario o di appigliarsi ad una cosa più che ad un'altra; ma si consacrò per tutta la vita alla {15 [181]} Congregazione Salesiana, disposto a far quanto i superiori gli avessero assegnato. Io son persuaso, diceva, che dandomi all'educazione della gioventù, potrò accumulare lo stesso tesoro di meriti per l’ anima mia egualmente che se mi portassi tra gl'infedeli. Nel primo anno del chiericato il Superiore lo mandò nel collegio di Borgo a. Martino, affinché svincolato da ogni occupazione materiale, potesse attendere esclusivamente allo studio ed usarsi speciali riguardi alla sua sanità, che cominciava manifestarsi cagionevole. Quale sia stato il tenore di vita tenuto durante quella sua dimora, ce lo descrive in poche parole il sac. G. Bonetti Direttore del Collegio. Ill chierico Luigi Ghione, egli scriveva, era un modello di pietà, e come tale veniva stimato non solamente dai suoi confratelli, ma dagli stessi convittori che n' erano edificati. Divotissimo del SS. Sacramento si era fatto una raccolta di libri, che ne trattavano, e li leggeva con molta avidità, ancorché tormentato da un quasi continuo mal di capo. Era difficile che al mattino lasciasse la santa Comunione, e quando non lo si vedeva alla sacra mensa, si era certi che ne era impedito dalla malferma sua sanità. Dopo la sua morte si è trovato tra le sue carte un quaderno di poesie, tutte in lode di Maria, raccolte da varii autori, e scritte di proprio pugno. Egli compiacevasi di dettarle ai giovanetti, e cercar così d'infondere in quei teneri cuori la divozione verso la gran Madre di Dio, e di comunicar loro parte di quella fiamma d' amore per Maria, che gli ardeva in cuore. A fine di meglio giovare alle anime e star più unito con Dio, bramava d'essere ammesso al sacerdozio, laonde {16 [182]} quantunque di sanità male andata, il Superiore permise che ricevesse gli ordini minori, e poscia il Suddiaconato. Egli sperava che in seguito avrebbe potuto ricevere il Diaconato ed il Sacerdozio; ma Iddio aveva decretato altrimenti.

            Assalito da alcuni sbocchi di sangue, sopportò la malattia colla rassegnazione de' santi, e spirava la bell'anima nel bacio del Signore il 13 luglio 1874 munito di tutti i conforti di nostra santa Religione, in età d'anni 24.

            In questo nostro confratello noi possiamo ammirare un ritratto di s. Luigi Gonzaga, o di s. Stanislao Kosta, e dire di lui ciò che altri già applicava ai suddetti santi, ciòè; Brevi vivens tempore explevit tempora multa. Visse una vita breve, ma piega di molte opere buone, sicché l'anima sua era divenuta oggetto dì compiacenza al cospetto di Dio, che la volle chiamare per torla dai pericoli della vita, e, come fondatamente speriamo, metterla al possesso dei veri godimenti del cielo.

 

 

I1 sac. Pestarino Domenico.

 

            Il Sac. Domenico Pestarino ebbe i suoi natali in Mornese ai 5 Gennaio 1817 da parenti agiati e ricchi di sostanze temporali, ed ancor più ricchi delle vere ricchezze del santo timor di Dio. Suo padre si chiamava Gioanni Battista, sua madre Rosa Gastaldi. In età di 8 anni fu condotto in Acqui per fare i suoi studi privatamente. Si dice che in quella pensione dovesse più volto patir la {17 [183]} fame, tuttavia non uscì mai dal suo labbro parola di lamento.

            Dopo due anni tornò a Mornese e sul finire di quelle vacanze la madre deliberò di collocarlo nel seminario di Genova. Accolto con molta benevolenza da' suoi Superiori, si mise tutto nelle loro mani, e tanto progredì nello studio e nella pietà, che da tutti i suoi compagni veniva additato come raro modello di virtù. Molte cose tuttora si ricordano di lui. Per animare i compagni al bene colla licenza dei Superiori si metteva sovente alla loro testa, li conduceva in Chiesa a far visita a Gesù Sacramentato, proponeva delle mortificazioni, li esortava ad essere ubbidienti, insomma a quella giovanile età poteva già chiamarsi un piccolo predicatore e raro esemplare in ogni virtù.

            In tempo di vacanza veniva a casa soltanto per obbedienza; passati due o tre giorni appena, supplicava i genitori che il lasciassero ritornar presto in Seminario. Divenuto cherico anziano fu creato prefetto del Seminario, il quale uffizio suole solamente affidarsi a coloro che in faccia ai superiori ed ai compagni sono più segnalati per pietà e studio. Continuò in quella carica eziandio dopo che fu sacerdote. E una cosa nota a tutti (assicurano parecchi suoi colleghi) che nei dodici anni, in cui prete Pestarino dimorò in Seminario si vide rifiorire la pietà e la frequenza ai SS. Sacramenti. Il dotto Can. Alimonda, lo zelante e pio sacerdote Giuseppe Frassinetti e molti altri distinti personaggi erano intimi di lui amici, e ne parlano sempre come di un prete modello.

            Chiamato a Mornese, ne accettò l'invito, ma sotto condizione che i parenti lo lasciassero totalmente {18 [184]} occuparsi a suo piacimento nel sacro ministero. Questo paese per gli sforzi di questo santo prete coadiuvato dallo' zelo del parroco D. Carlo Valle cambiò di aspetto in quanto alla pietà, sicchè Monsig. Modesto Contratto nella visita pastorale fatta in quel paese ebbe a dire: Mornese è il giardino della mia Diocesi. Quando D. Pestarino si recò a Mornese, cagionava maraviglia vedere taluno accostarsi alla a. Comunione lungo la settimana. In pochi anni la maggior parte del paese uomini e donne facevano la comunione quotidiana.

            Era tutto a tutti, ma pel bene della gioventù aveva un trasporto speciale. Bella tra l'industria che usava negli ultimi giorni di carnovale per allontanare i giovani dai disordini e dai pericoli di questo. tempo. Li radunava tutti in casa sua, preparava a sue spese l'occorrente per trattenerli in diversi giuochi onesti, e poi bottiglie, confetti e tutto c'he era necessario ad una cordiale ma lecita allegria; e D. Pestarino era sempre fra loro. Ad un'ora discreta della sera andavano tutt'insieme alla chiesa parocchiale a recitare le preghiere, dopo cui ognuno si recava tranquillamente a riposo. Prima però di dar loro- la buona notte premetteva gli ordini pel dimani, invitandoli ad intervenire alla S. Messa, recitare il Rosario, accostarsi ai SS. Sacramenti della confessione e comunione. Al dopo pranzo la stessa allegria del giorno prima; e così passavano gli ultimi giorni del carnovale, frammischiando eziandio ai loro trattenimenti qualche po' di canto, qualche dramma o commedia morale, che poteva benissimo servire di predica. Quasi la stessa cosa procurava per le giovani in altra casa sotto la direzione della Maestra, e tutto sempre a {19 [185]} sue spese. Don Pestarino Domenico era amato ed ubbidito da quella buona gioventù come tenero padre. E se tuttora Mornese si distingue da altri paesi per attaccamento alla religione lo si deve in gran parte allo zelo di D. Pestarino, il quale sempre d'accordo- col zelante suo Prevosto attendeva indefesso a predicare, a confessare tanto di giorno quanto di notte. Gli avvenne talora di passare quindici ore continue al confessionale. Mi ricordo di essermi trovato in quel paese in occasione che D. Domenico si era messo a confessare alla sera, continuò tutta la notte ed alle dodici meridiane egli era tuttora assiso nello stesso luogo. Amava tutti, faceva del bene a tutti, e da tutti era grandemente riamato; così che poteva chiamarsi il vero amico del popolo. I suoi compaesani lo elessero varie volte consigliere municipale; ed egli corrispose alla loro fiducia promovendo costantemente il bene spirituale e temporale. Non solo i Mornesini, ma ancora i paesi d'intorno non prendevano alcuna importante deliberazione senza interpellare D. Pestarino.

            Udito a parlar di D. Bosco, s'invogliò di conoscerlo; a tal fine si portò a Torino nel 1862. Rimase talmente innamorato dello spirito della Congregazione Salesiana che volle subito alla medesima dare il suo nome, cominciandone a praticare le regole. Poco dopo si consacrò totalmente a questa congregazione, ed era uno dei confratelli esemplari. Il superiore, al quale prestava illimitata obbedienza, in vista del gran bene che faceva nel secolo, volle che egli continuasse a vivere in sua patria.

            Suo desiderio era di stabilire qualche buona istituzione che ricordasse ai suoi cari patrioti, anche {20 [186]}dopo la sua morte, quanto affetto loro portava, e di accordo colle autorità locali e col consenso di D. Bosco pose le fondamenta ad un edifizio da destinarsi al pubblico vantaggio. Era comune desiderio di fare un collegio per fanciulli, ma per non opporsi al consiglio del vescovo diocesano, pensò meglio di aprire un educandato per giovanette. A ciò era naturalmente necessario avere delle maestre per l'istruzione religiosa e letteraria, per la disciplina e per la civile educazione. Ed ecco il principio dell'istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Lo scopo di questa istituzione si é di fare per le ragazze quanto i Salesiani fanno poi giovanetti.

            Per reggere a tante opere di carità, D. Pestarino aveva già venduto la maggior parte delle suo sostanze; così che quando cominciò il novello istituto ricorse all'aiuto altrui, specialmente alla Congregazione Salesiana, che cominciò a considerare come sua propria ogni opera di D. Pestarino, il quale sempre animato dallo stesso zelo consacrò al novello istituto tutte le sue fatiche e quel poco di vita che il Signore ancor gli concesse.

            Finalmente vedeva appagati i suoi desideri. La casa delle Figlie di Maria Ausiliatrice, di cui fu costituito direttore, di anno in anno si popolava, e parevano avvicinarsi i giorni di qualche riposo e tranquillità pel buon sacerdote. Iddio però che conosce i meriti degli uomini, mentre nessuno se lo aspettava, godendo egli perfetta saluto, volle chiamare il fedel suo servo al riposo eterno, senza neppure fargli soffrire i dolori di fina malattia. Era il 15 Maggio 1874 quando dopo aver celebrato la santa Messa, colto da violento ed improvviso {21 [187]} malore, volossene a godere il premio delle sue fatiche e de' suoi sacrifizi in età di 57 anni. Egli era ricco, e per amor del Signore si era fatto povero; ed il Signore, che suole premiare la virtù e non le ricchezze, lo ha certamente fatto ricco di eterna gloria.

            Impariamo anche noi a non far conto delle ricchezze e delle comodità della vita; ma amiamo la povertà, e fatichiamo per la gloria di Dio. Nelle sue prediche e ne' suoi famigliari discorsi D. Pestarino ripeteva spesso le parole del Salvatore: Quod saperest, date pauperibus. Dato il superfluo ai poveri, e colle ricchezze, se ne possedete, fatevi degli amici che non vi manchino più. Beato lui! giacché in esso si sono verificate le altre parole del Salvatore quando disse: Quelli che si fanno poveri per amor del Signore, si assicurano il possesso delle ricchezze eterne del cielo: Beati pauperes spiritu, quoniam ipsorum est regnum coelorum. {22 [188]}

 

 

Confratelli salesiani chiamati alla vita eterna nell' anno 1875

 

Il giovane Giacomo Para.

 

            Uno dei bei fiori che nel giardino della Salesiana Congregazione cogliesse la mano del Signore nel corso dell'anno 1875 fu il giovane Giacomo Para, nato in Sampeyre, diocesi di Saluzzo all' 16 settembre 1850. Per sua sventura perdette il padre in. età ancor tenera; malgrado questa disgrazia egli passò assai bene la fanciullezza e crebbe morigerato e pio. La cristiana educazione gli giovò assai nella pericolosa età dai quindici ai diciotto anni; imperocchè sotto l’ influsso delle passioni o degli scandali di non pochi compagni egli seppe resistere, e preservarsi dai disordini così comuni all'incauta gioventù. Il giovane Para mostrossi sempre di integerrimi costumi, pio, zelante dell'onor di Dio e di una grande pazienza e penitenza. Di queste virtù egli diede luminose prove prima e dopo il suo ingresso in Congregazione.

            Tuttor secolare ed in- mezzo al mondo egli si adoperò con grande zelo per introdurre tra i giovani della sua parocchia l'uso del cantare le sacre lodi. A questo fine ci superando ogni rispetto umano si cercò alcuni compagni, trovò un luogo {23 [189]} adatto per la scuola, combinò l'ora, pregò il maestro che gli aderì di buon grado. Così in breve tempo ebbe la consolazione di vedere raggiunto il suo scopo, che si era di dare lode a Dio, ed alla Vergine Immacolata, e togliere intanto i suoi compagni dal brutto vezzo di andar ripetendo indegne canzoni per le vie del paese e nelle campagne.

            Nè qui si limitano le prove di sua religiosa pietà. Dovendo lavorare da mane a sera per guadagnarsi il pane della vita, egli, come già s. Isidoro agricola, cercava per quanto poteva di ascoltare anzitutto la santa messa. Laonde al mattino sorgeva da letto prima degli altri e portavasi in chiesa per tempissimo. Sul lavoro stesso recitava sovente certe sue preghiere predilette; lungo il giorno nelle ore di riposo, dato qualche ristoro al corpo, egli occupavano il resto col leggere qualche pagina di un divoto libretto, per rinforzare eziandio il suo spirito con santi pensieri e religiosi affetti. Talora mentre rompeva le dure zolle, e bagnavale dei suoi sudori, faceva pur risuonare l'aria di lodi alla Beatissima Vergine, rallegrando e ad un tempo edificando i suoi compagni.

            Più volte andando o venendo di campagna, fu visto col capo scoperto e colle mani giunte sul manico della zappa o del badile che portava in ispalla, e udito a recitare il sa. Rosario od altre preghiere che non aveva potuto o temeva di non poter recitare in altro tempo. Nei dì festivi poi non solo assisteva fedelmente alle funzioni parocchiali, ma prima e dopo le medesime tu l'avresti veduto col libro alla mano, a capo di una schiera di divote persone, far la Via Crucis con un raccoglimento e divozione che rapivano alla più grande {24 [190]} maraviglia. Sicchè la gente, che ricordava ancora la esimia pietà del suo buon padre, godeva di,vederla rifiorita in questo suo degno figliuolo, e gliene davano, come glie ne danno tuttora, altissime lodi. Il suo fratello maggiore attesta che giammai gli avvenne di sorprendere Giacomo in menzogna. Era poi ubbidientissimo; non si aveva che da aprir bocca che tosto egli ubbidiva. Verso tutti era umile e dolce, attingendo dalla frequente comunione la sua pazienza e la mansuetudine in mezzo alle contrarietà.

            Fin dai primi suoi anni egli sentissi in cuore una dolce inclinazione alla vita religiosa, allo stato sacerdotale, e per tale scopo pregò più volte la madre a collocarlo in qualche collegio dove potesse attendere di proposito allo studio. Male strettezze di famiglia, che aveva bisogno del suo braccio, costrinsero ognora la povera genitrice a dargli dolorosa ripulsa. Il buon giovane non si scoraggio, e conservando nel segreto del suo cuore il tesoro di sua vocazione, pregava il Signore a venirgli in aiuto. Intanto pur lavorando in casa ed in campagna cercava modo di istruirsi alla meglio che poteva, frequentando la scuola del paese, specialmente nella stagione invernale.

            Era ben poco il tempo che la sua condizione gli permetteva di applicare allo studio; ma occupandone ogni ritaglio, e pur vegliando di notte, fece sì grande profitto, che i suoi condiscepoli ne erano maravigliati. Qual fosse il suo desiderio d'imparare lo dimostra il fatto seguente. Dimorando egli in una borgata. doveva percorrere cinque chilometri a fine di recarsi a scuola; sicché il suo viaggio quotidiano era di 20 chilometri. Un {25 [191]} giorno chela neve era caduta in molta quantità, invece di rimanersene a casa, egli volle tuttavia recarvisi. Con coraggio da leone ai la diede a traverso della neve, e dopo un' ora e mezzo del più faticoso cammino vi giunse tutto grondante di sudore. Ma la natura non potè reggere a tanto strapazzo; ed ecco infatti dopo alcuni minuti, che già stava al suo, banco, il povero giovine,,da infiammato qual era nel volto, impallidisce, e cade svenuto. Ritornato poco dopo in sè, ripiglia il suo studio, come se nulla fossa. Da questo atto di coraggio ognuno può argomentare di che tempra fosse il nostro confratello fin dai primi anni di sua giovinezza. Iddio volle ricompensarlo di tanta virtù, ed ecco in che modo.

            Aveva circa vent'anni quando udì a parlare dell'Oratorio di e. Francesco di Sales. Questo è il mio posto, disse subito, e si diede attorno per esservi accolto. La madre sua essendogli stata alcuni anni prima da morte rapita, egli si raccomandò al fratello maggiore, allo zio, al paroco, i quali compierono di buon grado la pratica, dopo cui veniva accettato nell'Oratorio di s. Francesco di Sales. Notizia più consolante non poteva giungere al suo cuore; e parevagli che tardasse mill'anni il momento di prendere le mosse alla volta di Torino. Quando partì di casa, mostravasi contento come se andasse al luogo di sua vera felicità. Giuntovi e conosciuto come egli avrebbe ivi' potuto attendere con tutta comodità alla salvezza dell'anima, diceva: So i superiori mi lascieranno studiare, ne avrò piacere; so crederanno meglio darmi altre occupazioni, io sarò parimenti contento, perchè veggo che in questo luogo vi è la pace del Signore. {26 [192]} Dopo alcun tempo i suoi superiori conobbero che il giovane Para possedeva eziandio non mediocre attitudine allo studio, oltre all'essere ornato di rare virtù. Quindi gli venne concesso di attendere allo studio e nel settembre 18733 fu accettato come ascritto nella Congregazione Salesiana. Diligente, esatto nei suoi doveri, fervoroso nelle pratiche di pietà, di una obbedienza a tutta prova, era il modello non solo dei novizi, ma degli stessi professi. Desideroso di consacrarsi tutto al Signore coi voti religiosi egli nell'anno di prova 1873-74, trovandosi coi confratelli ai santi Esercizi nel nostro Collegio di Lanzo, domandò al superiore che gli permettesse di farvi professione. Questi, osservata la condotta irreprensibile, che ci teneva, glielo concesse, quantunque agli studenti ciò per lo più non si permetta, se non dopo compiuto il corso di latinità. Fu questo un tratto di singolare bontà del suo superiore, affinchè il caro nostro confratello, che doveva sì presto terminare sua mortale carriera, potesse morire consacrato a Dio, come ardentemente bramava. Il buon giovane ebbe sempre questa per una grazia segnalata e sul letto di morte un'ora prima di rendere l'anima a Dio, parlandone col Direttore della casa, lo pregò che, dando al suo Superiore l’ annunzio di sua morte, lo ringraziasse del favore che fatto gli aveva coll'avergli concesso di far professione pochi mesi prima, preferendolo a tanti suoi compagni. Alla gratitudine unendo poscia i sentimenti della più grande umiltà, u io penso, soggiunse, che il nostro Superiore conoscesse che io doveva tra poco morire; del resto non avrebbe fatto a me una grazia così segnalata, che n'era immeritevole. Ad ogni {27 [193]} modo lo ringrazi tanto, e gli dica che io pregherò molto per lui, pel gran bene che mi ha fatto. »

            Sul principio dell'anno scolastico 1874-75 nel Collegio di Borgo a. Martino abbisognandosi di un buon portinaio, vi fu destinato il nostro Giacomo. II buon confratello, benché gli tornasse doloroso il distaccarsi dai fianchi del padre dell'anima sua, pure ricevuto il suo ordine se ne partì senza far parola in contrario. Nel nuovo collegio egli fece risplendere le stesse virtù che nell'Oratorio di o. Francesco, e vi lasciò un documento imperituro di una pazienza, e di una esattezza nei propri doveri inarrivabile. Ma egli era ormai maturo pel cielo, e a lui già potevansi applicare le parole dello Spirito Santo, cioè, che in breve tempo egli aveva accumulati tesori sì grandi di meriti, che altri giungerebbero appena ad acquistare in lunghi anni di vita, brevi vivens tempore eaplevit tempora multa.

            Erano circa tre mesi dacchè Para compiva l'uffizio suo da portiere attendendo in pari tempo allo studio di quarta ginnasiale, sotto un maestro speciale, quando la sua salute prese a deteriorare. Solito a soffrire incommodi e disagi di ogni sorta senza mai farne parola ad alcuno, egli benchè si sentisse crescere viepiù il male, e fosse tormentato dalla febbre giorno e notte, tuttavia nel cuor dell'inverno continuò sempre a levarsi alle ore cinque del mattino per assistere al suo impiego di portinaio, come se fosse sanissimo. Con questo maschio coraggio, che sa dell' eroico, ci seppe nascondere, per molti giorni la sua indisposizione: poiché sebbene fosse riputato per giovane di grande {28 [194]} virtù, nondimeno niuno de'suoi confratelli avrebbe giammai sospettato, che questa fosse di sì alta perfezione, da sopportare in piedi e al proprio posto ora gli ardori, ora i brividi di una febbre ostinata. Finalmente il Superiore accortosi del suo mal essere, gli ordinò di mettersi a letto. Ubbidì, ma con rara umiltà rispose: Non è giù pel male che io sono così, bensì porchè non sono capace a sopportar niente per amor di Dio. Rimase a letto quel giorno: ma credendo che l'ordine del direttore non dovesse estendersi più oltre, ecco che nel mattino seguente all'ora solita-egli si alzò come i giorni precedenti. L'infermiere, che pel primo lo vide, «e perchè ti sei levato, gli disse, con tanto male in corpo?» ed egli, «temeva, rispose, che non ci fosse alcuno al mio posto, e non voleva che per cagion mia accadessero disordini.» Gli fu imposto di ricoricarsi e di attendere il medico.

            Disgraziatamente il male prese tosto minacciose proporzioni, ed il dottore non tardò ad accorgersi come il caro Giacomo si trovasse in pericolo di vita. Tale giudizio arrecò un dolore immenso a tutti i confratelli nonchè agli alunni del collegio, perciocchè tutti in quel buon giovane ravvisavano un fedele amico, un modello di virtù. Venne tosto portato nell'infermeria per un'assistenza più diretta. Nè ci fu cura, rimedio, assistenza, che non siasi adoperato; ma era scritto nei decreti di Dio, che quel fiore fosso tolto dalla terra, e trapiantato nel cielo. Egli non. sopravisse che venti ore; in questo spazio di tempo diede saggio di tanta virtù, che finì di persuaderci che avevamo con noi un santo sconosciuto. {29 [195]}

            La febbre aragli sopraggiunta così gaglialda, che il povero malato faceva tremare il letto da capo a fondo, il respiro così affannoso da muovere a compassione. Cib nondimeno ei non fu udito a dare un lamento, né un gemito o sospiro, che indicasse la più leggiera impazienza. Fino agli ultimi aneliti ei mostrò per gli altri la più caritatevole attenzione e pel suo corpo quel disprezzo con cui avevalo trattato in vita. Laondo agli altri pensando e nulla a sè stesso, diceva al confratello infermiere: Tu hai altri malati da servire, attendi pure a loro. Per me riponi un poco di ghiaccio in un tondo, e mettilo sul letto; io me lo prenderò senza tuo disturbo. Sarebbe morto in piedi, se l'ubbidienza glielo avesse permesso. Egli passò la notte del 24 al 25 febbraio assai male pel corpo, ma dolcissima per l’ anima. Al mattino confidò al fratello assistente un caro sogno avuto, e gli protestò che presto avrebbe lasciato il mondo. L'amico temendo che cotal pensiero lo dovesse rattristare gli rispose mostrando fiducia nei rimedi e nelle preghiere, e lasciando speranza di non lontana guarigione. Accortosi dell’imbarazzo del confratello soggiunsegli tosto l' imperturbato infermo: «Tu credi ch' io abbia paura di morire: t'inganni. Lungi dal temer la morte io l'aspetto invece con ansietà per potermi unire col Signore. » Si crede non senza ragione che egli avesse qualche avviso o per lo meno uno straordinario presentimento di sua preziosa dipartita perchè tre giorni prima che apparissero i sintomi di malattia, essendo andato secondo il solito a levare le lettere dalla posta, disse all'ufiziale: «di qui a due giorni altri verranno {30 [196]} a prendere le lottare. E perchè gli domandò questi. » Ed egli: «Perchè io non ci sarò più.»

            Il direttore della casa vedendo che il male invece di rallentare, come lusingavasi, progrediva spaventosamente, gli osi accostò, e disse: Mio caro Para, se la Madonna SS. ti volesse quest'oggi in paradiso con lei ci andresti volentieri? » A questa dimanda ci lo guardò, e poi con una espressione affettuosissima rispose: «Oh! volentieri.» Si confesso con poche parole, perchè solito a confessarsi ogni otto giorni, ed ogni volta come se fosse l'ultima della vita; si trovavasi colla coscienza tranquilla. Domando poscia il SS. Viatico, che ricevette con tanto trasporto di divozione e dì contentezza, che ognuno degli astanti n' era intenerito sino alle lagrime. Dopo due ore questo caro confratello col crocifisso in mano, che andava amorosamente baciando, si addormentò nel Signore a guisa di un bambino, che si addormenta in seno alla tenerissima madre. Una morte più bella non si potrebbe fare. Oh! voglia il cielo che con una simile morte possiamo terminare ancor noi i nostri giorni in pace!

            Il giovane Para Giacomo in tutto il tempo che fu tra noi apparve gran modello di vita cristiana, e di osservanza religiosa; ma la virtù in cui si è in modo speciale segnalato fu la prontezza nell'ubbidienza evitando costantemente ogni espressione, che potesse tornare in biasimo delle disposizioni dei superiori, o a ledere la riputazione dei compagni. Guidato da questo principio faceva volentieri qualunque cosa gli venisse comandata. Nè alcuno di quelli che vissero con lui l'udirono mai a proferire voci di lamento o parola di mormorazione. {31 [197]} In ciò egli imitava il nostro patrono e. Francesco di Sales, che insegna come in ogni azione del nostro prossimo, la quale abbia cento faccia, di cui novantanove cattive, ed una buona, noi dobbiamo prendere la parte buona e lasciare a parte le novantanove. Il nostro Para mise in pratica questa massima, ed a quest' ora avrà già ricevuto la debita ricompensa in cielo, come fondatamente speriamo, lasciando a, noi, o amati confratelli, un nobile esempio da seguire. Si, o miei cari, amiamo l'ubbidienza come quella che genera o conserva tutte le altre virtù; ma studiamoci. di evitare ogni sorta di mormorazioni, che sono state sempre il tarlo fatale ed anche la rovina degli istituti religiosi.

 

 

Antonio Lanteri.

 

            Nacque Antonio Lanteri addì 9 marzo 1841 in Poaldo, parocchia di Briga Marittima, da Pietro e Maddalena Alberti. I suoi parenti erano poveri ed esercitavano l'umile professione di pastori; ma essendo onesti e ferventi cattolici seppero inspirare al loro Antonio uno speciale amore alla preghiera ed a tutto quello che riguarda la santa nostra religione. Attesta il suo paroco, che ancor giovanetto era segnalato per la ritiratozza; e con esemplare contegno ascoltava la parola di Dio, usava molto alla chiesa anche da solo fuori del tempo delle sacre funzioni, e con tutta regolarità frequentava i ss. Sacramenti. Dimostrava molto zelo nel tirare al bene {32 [198]} i suoi compagni e cercava di toglierli dall' ozio col somministrar loro buoni libri. Maggiormente ebbesi ad ammirare la sua virtù quando andava a pascolare il gregge su pei monti. Non abbandonavasi all'ozio, non trattenevasi in conversazioni pericolose, bensì col suo libro di divozione egli recitava fervorose preghiere, e faceva risuonare quelle rupi cantando lodi a Maria SS. Parve che il Signore aggradisse le sue preghiere ed esercizi di pietà, accordandogli abbondanza di grazie e liberandolo da gravi pericoli. Un giorno fra gli altri correva dietro a qualche pecorella sbandata, e mentre meno sel pensava trovasi mancar la terra sotto i piedi e precipita in un profondo burrone. Ebbe appena tempo ad esclamare: Ah! Gesù e Maria, aiutatemi. In quel momento balenb agli occhi suoi un lampo di luce, ed egli si trovò al fondo del burrone sano e salvo senza la minima lesione. Balzato in piedi misurò coll'occhio l'altezza spaventosa da cui era caduto, e riconoscendo da Gesù e da Maria la liberazione da sì grande pericolo, si sentì riempiere il cuore di gratitudine, e disse fra sè stesso: Questa vita, che ho conservato per grazia di Gesù e di Maria, tutta voglio impiegarla a loro, servizio.

            Intanto dovendo varie volte nell'inverno abbandonare la sua cara solitudine, e recarsi in paesi più popolati e più corrotti si trovò in compagnia di persone, che parlavano contro la religione e contro il buon costume. Fu questa una ferita pel suo cuore, e scorgendo quanto fosse difficile in mezzo al mondo mantenersi fedele alla promessa di consacrare la sua vita al servizio di Gesù e di Maria, prese. la deliberazione di abbandonare la casa paterna e {33 [199]} ritirarsi in qualche congregazione religiosa, ove attendere a salvar l’ anima sua dai pericoli del mondo. Venne all'Oratorio nel settembre del 1871 deliberato di rinunziare a tutto per amor di Dio, rinunziando eziandiò alla propria volontà col sottoporla all'ubbidienza verso i suoi superiori. Avrebbe desiderato applicarsi allo studio, ma il Direttore a motivo della sua sanità, che appariva cagionevole, giudicò meglio applicarlo ai lavori di casa,' conoscendolo piu acconcio ad occupazioni materiali che non alle fatiche dello spirito. Ed egli di buon grado vi si adattò, e diede sì buona prova che dopo circa due mesi fu mandato come coadiutore nella casa di Marassi, poi trasportata a San Pier d'Arena; qui egli era di edificazione a tutti col suo aspetto sempre sereno, colla sua cieca obbedienza, e particolarmente colla sua pietà. Come soffriva se, conoscendo qualche offesa a Dio, non poteva riuscir d'impedirla! Dopo il suo noviziato fu ammesso ai voti. Avrebbe voluto farli perpetui, ma non essendogli ciò permesso, ebbene, egli disse, colla voce mi obbligherò all'osservanza delle regole per tre anni, ma col cuore per tutta la vita. A S. Pier d'Arena gli venne affidata la cura della chiesa. Di che lieto egli diceva: or sono contento: posso proprio servire il Signore più da vicino. Non è a dire con quale attenzione, diligenza e facilità disimpegnasse quel nuovo uffzio. Aveva l'occhio a tutto, badava alla nettezza della chiesa e della sagrestia, teneva con grande proprietà gli altari, provava un gran gusto nell'ornarli e nell' addobbare la chiesa. Che se per caso nei principii qualche cosa fosse sfuggita alla sua attenzione, bastava dirglielo una volta, e si {34 [200]} era certi che non se ne dimenticava più. Trattava con molta carità e bel garbo con qualsiasi persona esterna si fosse presentata alla sacrestia per qualunque affare; ed era voce comune in casa e fuori che difficilmente sarebbesi potuto trovare altro sagrestano così attento e compito in ogni suo dovere, come Lanteri. Un giorno lavorando in chiesa corse grave pericolo di cadere dall' alto Interrogato che pensasse in quel momento, rispose: io mi sarei creduto troppo fortunato di morire lavorando nella casa di Dio: mi era confessato e comunicato in quel mattino: di quale cosa poteva temere?

            Tutto il tempo che restavagli in libertà dal servizio della chiesa dividevalo tra i lavori di casa e la preghiera. Non mai gli si comandò alcuna cosa, che. abbia mostrato la minima difficoltà o ripugnanza a farla. La sola cosa a cui avrebbe stentato adattarsi sarebbe stato di limitare il tempo che amava dare agli esercizi di pietà. Tuttavia non tralasciava mai di fare ciò che gli era imposto dall'ubbidienza per darsi a pratiche religiose di suo gradimento; bensì procurava di supplirvi con frequenti giaculatorie e, visite a Gesù Sacramentato e a Maria SS. nelle ore di ricreazione e talvolta anche di riposo.

            Il clima di San Pier d' Arena fu per lui fatale. Dopo circa un anno ei si sentì lo stomaco molto indebolito; di notte la tosse gli impediva di riposare, mentre alcuni sbocchi di sangue cagionavano serie inquietudini sulla sua vita. Si pensò di mandarlo a Torino per tentare se l'aria più mite gli giovasse. In poco tempo egli riprese le forze, e potè compiere per varii mesi {35 [201]} l'ufficio di sacrestano nella chiesa di Maria Ausiliatrice. Ma il male era mopito, non guarito; poco dopo pel freddo si rinnovarono i dolori di stomaco, ed egli dovette mettersi a letto. Sempre calmo e tranquillo non mai ai lasciò sfuggire un lamento pel suo male. Rassegnato alla volontà di Dio usava quelle cure che gli venivano consigliate; però certo che poco elleno agirebbero giovato, pensava a prepararsi bene alla morte.

            Recatosi in famiglia per consiglio de' medici, scrive il suo paroco, che tenne la medesima regola della Congregazione nelle preghiere, nel ritiro,nella frequenza alla chiesa ed ai ss. Sacramenti. Fa calmo e sereno sino alla morte, che accettò volentieri dalla mano di Dio nell'agosto del 1875.

            Fu Antonio Lanteri un modello di vita interiore, e occupato continuamente i lavori materiali teneva sempre il suo cuore e la sua mente fissa in Dio, alla cui gloria offriva i sua azione. Abbiamo ogni motivo di credere che egli già riposi nella pace dei giusti, in possesso di quel Dio, che sempre ha cercato nel pellegrinaggio di questa vita.

 

 

Barberia Defendente.

 

            Nacque il nostro Defendente in Cassinelle, diocesi d'Acqui, nel 1855. Educato da virtuosi genitori crebbe al tutto obbediente oliveto. Con gran cura fuggi sempre i cattivi compagni e frequentava le cose di chiesa. Il suo paroco ne raccomandò l'accettazione nel nostro Oratorio, come di giovane modello, {36 [202]} dicendo: forse nessuno nel paese, di sua età e condizione, superarlo in virtù. Egli non ismenti mai, pel tempo che fu tra noi, questo belle parole; anzi crescendo di giorno in giorno nelle virtù proprie del suo stato tutti ci edificò colla sua condotta. Venuto nell'Oratorio subito dimostrò gran fervore nelle pratiche di pietà, desiderio d'accostarsi con frequenza alla SS. comunione e di progredire molto negli studii per potere, coni' egli diceva, divenir presto prete e adoperarsi per la salute delle anime.

            Domandò ben presto di entrare nella Congregazione Salesiana, ed accettato come aspirante, fu sottoposto a varie prove, che superò sempre vittoriosamente. Mentre bramava ardentemente di poter progredir nello studio perchè già un po' avanzato negli anni, venne posto da portinaio nel l'Oratorio esterno e stette in quella carica fin che vestì da chierico, disimpegnando le sue incumbenze con molto zelo e prudenza in modo da contentare in tutto i superiori e ognuno che con lui avesse a fare.

            Una cosa in cui desiderava molto di occuparsi, e che disimpegnava con mirabile profitto, era di fare il catechismo ai ragazzi e specialmente ai più rozzi ed ai più poveri. Con buona grazia li attirava a sè, li rendeva attenti con piccoli premiuzzi che loro prometteva e si osservò che i giovani della sua classe di catechismo, attirati dai suoi bei modi, erano assai costanti ad intervenire ed imparavano assai bene.

            L'esercizio di tante virtù fece sì che a suo tempo i superiori ben volentieri lo annoverassero tra gli ascritti alla Congregazione e gli concedessero la vestizione {37 [203]} dell’abito chiericale. La sua consolazione, quando sentì che i suoi desiderii erano appagati, fu al sommo. Ora più nulla mi manca, andava ripetendo;solo più si richiede che sul serio io pensi ad onorare quest’abito ornandomi il cuore delle necesarie virtù di cui pur troppo son privo.

            Si mise a frequentare la SS. Comunione quasi quotidiamente e con tal divozione da edificare tutti i suoi compagni. Fu udito più volte ripetere che niente gli aveva maggiormente giovato per l’anima sua, che la frequente comunione. Anche la sua obbedienza fu ammirabile; lo si vide più volte a sospendere il passo al suono della campanella per recarsi al luogo dove l0ubbidienza l chiamava. Incaricato di qulche uffizio subito si proponeva di volerlo eseguire con ogni dilligenza e nell’esecuzione si impegnava di condurlo a termine essatamente. Era parco nel mangiare e nel bere, e gli si dovette far comando di nutrirsi i più, affinchè la sua sanità non ricevesse nocumento. Non solo non fu mai udito lamentarsi degli apprestamenti di tavola; ma anzi desiderava e cercava sempre il peggiore. Dimenticato qualche volta da chi serve a mensa, non dimandava, contento di potere in questo modo fare una mortificazione senza darlo agli altri. Col massimo piacere udiva parlarsi delle cose antiche dell’Oratorio, delle fatiche dovute sopportare per impiantarlo. Il suo pensiero si recava subito ai tempi futuri godendo nel pensare di poter poi anch’esso affaticarsi ad utile delle anime nella Congregazione Salesiana.

            Caro Defendente! il tuo desiderio era buono, era al certo acceto al Signore; ma già il Signore aveva disposto altrimenti di te! {38 [204]} Aveva appena passati alcuni mesi del suo noviziato allorquando un' antica debolezza di stomaco con tosse ostinata ricomparve in lui. Gli si usarono qui all'Oratorio tutte le cure; ma la malattia sempre più profondamente si impadronì di lui. La sua pazienza fu ammirabile; l'unica cosa che mi rincresca, ripeteva spesso, si è che in questo stato sono d'aggravio all'Oratorio, e mi si usano troppe cure. Consigliato dal medico a provare se l'aria nativa gli potesse giovare si recò da' suoi genitori, che molto lo desideravano; ma niente valse a farlo migliorare.

            Passati varii mesi in questo stato, edificando ognuno colla sua pazienza e rassegnazione alla volontà di Dio, passava da questa vita all'eternità il giorno 8 settembre 1875.

 

 

Con permesso dell'Autorità ecclesiastica. {39 [205]} {40 [206]}

 




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